TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SEZIONE G.I.P. - G.U.P. Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale di questione di legittimita' costituzionale Il Giudice dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Torino, dott.ssa Eleonora Montserrat Pappalettere, visti gli atti del procedimento indicato in epigrafe a carico - tra gli altri - di: S.F. V.P. A.D. C.A. Omessi i nomi degli imputati per i reati p. e p. dagli artt. 416 c.p., 81 cpv, 110 c.p.; artt. 2, 8, 5, 10 bis e 10 ter decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74. Rilevato che in sede di udienza preliminare, all'udienza odierna del 15 dicembre 2014, alcuni imputati, personalmente o a mezzo del procuratore speciale, chiedevano, ex art. 444 c.p.p., l'applicazione della pena. Atteso che appare opportuno riportare qui di seguito le parti dell'odierno verbale d'udienza che interessano: "... A questo punto l'avv.to Pantosti per V. deposita procura speciale, e comunque il signor V personalmente presente chiede patteggiare una pena nei seguenti termini: individuato quale reato piu' grave quello di cui al capo a) della richiesta di rinvio a giudizio, p.b. anni 2 e mesi 1 di reclusione gia' considerata la continuazione interna al capo, ridotta ex art. 62 bis c.p. ad anni 1 e mesi 6 e gg. 15 di reclusione, aumentata per capo 1 di gg. 20 di reclusione, per capo b di gg. 20 di reclusione, per capo c) di gg. 25, per capo e) di gg. 20 di reclusione, per capo i) di gg. 20 di reclusione, per capo o) di gg. 15 di reclusione, per capo s) di gg. 20 di reclusione, per capo x) di gg. 20 di reclusione, per capo y) di gg. 20 di reclusione, per un totale pari a mesi 6 di reclusione, per un totale pena di anni 2 e gg. 15 di reclusione, ridotta ex art. 444 c.p.p. ad anni 1 e mesi 7 di reclusione. La difesa che fa presente che la concessione delle attenuanti generiche dipende dalla disponibilita' dell'imputato all'immediato versamento di un risarcimento quantificato in 25.000 euro, di cui c'e' disponibilita', a favore dell'Agenzia delle Entrate. Il P.M., pur rilevando l'oggettiva congruita' della pena determinata come sopra, dichiara di non potere esprimere ne' il consenso ne' il diniego, essendo inammissibile la presentazione della suddetta richiesta di patteggiamento ai sensi dell'art. 13, comma 2 bis, D. Lgs. 74/2000. A questo punto la difesa V. solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 comma 2 bis del Dlg. nr. 74/2000 nella parte in cui subordina la presentazione della richiesta di patteggiamento alla integrale estinzione del debito tributario, in relazione agli artt. 3 e 104 Cost. Deposita, all'uopo, memoria illustrativa che ulteriormente espone oralmente. Il P.M. si associa all'eccezione di illegitimita' costituzionale. ... L'avv.to Nizza Davide per S. F. deposita procura speciale per accedere a riti alternativi. Chiede patteggiare nei seguenti termini: individuato il reato piu' grave nel capo 1, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 62 bis c.p. prevalente sulle contestate aggravanti e recidiva manifestando l'intendimento di versare la somma di' euro 25.000 a titolo risarcitorio a favore della Agenzia delle Entrate, p.b. anni 1 di reclusione ridotta ex art. 62 bis c. p. a mesi 8 di reclusione, aumentata per capo a,b,c,e, i,o,s,y) di mesi 2 e gg. 10 di reclusione, per ciascun capo gia' considerata la eventuale continuazione interna ai singoli capi, per capo g ed m, pari a mesi 1 di reclusione per ciascun capo, per capi f, h, l, p, q, r, t, u, v, w, di gg. 20 di reclusione, per ciascun capo, per un totale di pena in continuazione di anni 2 e mesi 4 di reclusione, determinata la pena complessiva in anni 3 di reclusione, ridotta ex art. 444 c.p.p. ad anni 2 di reclusione. Il P.M richiama le medesime considerazioni svolte per V. L'avv.to Nizza si associa quindi alla eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 13 comma 2 bis del Dlvo 74/2000 in relazione agli artt. 3 e 104 Cost. Il P.M. si associa. ... Per A. l'avv.to Nizza deposita procura speciale, evidenziando di essere legittimato a presentare anche istanza di patteggiamento, ma di non presentare alcuna istanza ex art. 444 c.p.p. non essendo detta presentazione consentita dalla legge e sollevando cosi' questione di legittimita' costituzionale nei termini gia' espressi dalle altre Difese. In subordine formula istanza di patteggiamento negli stessi termini indicati dalla Difesa S. e solleva comunque questione di legittimita' costituzionale come precedentemente illustrato. Il P.M. richiama le osservazioni e le richieste svolte per S. e per V. ... Per C. l'avv.to Ugolini deposita procura speciale e chiede patteggiare come segue: ritenuto piu' grave il reato capo s) pena base, gia' riconosciuta la continuazione interna, anni 2 di reclusione, ridotta ex art. 62 bis c.p. ad anni 1 e mesi 4 di reclusione, aumentata ex art. 81 cpv con i reati v e w) di mesi 1 di reclusione ciascuno, per una pena complessiva di anni 1 e mesi 6, ridotta per il rito ad anni 1 di reclusione, subordinatamente alla concessione della sospensione condizionale della esecuzione della pena. Il P.M. richiama le osservazioni e le richieste svolte per S. V. e A. La difesa di C. allora si associa alle questioni svolte dai colleghi, ritenendo anche violato l'art. 77 comma 2^ Cost. Il P.M. si associa". Atteso, quindi, che il P.M., pur rilevata incidentalmente la congruita' delle pene proposte, non esprimeva il consenso, stante l'inammissibilita' delle istanze ai sensi dell'art. 13 comma 2 bis d.l.vo n. 74/2000, non essendo stati estinti i debiti tributari di cui alle riportate contestazioni. Atteso, dunque, che le richieste di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. sono, nella specie, precluse, ostandovi l'art. 13 comma 2-bis del d.lgs. n. 74/2000 (introdotto con il d.l. 13 agosto 2011 n. 138, convertito con modificazioni nella legge 14 settembre 2011 n. 148), che condiziona l'accesso all'istituto dell'applicazione della pena di cui all'art. 444 c.p.p. alla preventiva estinzione dei debiti tributari. Atteso, pertanto, che i Difensori eccepivano l'illegittimita' costituzionale del citato art. 13 comma 2 bis in relazione agli artt. 3, 104 e 77 Cost. Osserva La questione proposta ha rilevanza concreta nel processo in esame, in quanto questo Giudice e' chiamato a dare applicazione alla norma sopra citata per decidere in ordine all'ammissibilita' delle formulate richieste ex art. 444 c.p.p., le quali, nel merito, come gia' rilevato dal Pubblico Ministero, non appaiono, ictu oculi, ne' manifestamente incongrue ne' manifestamente errate quanto al calcolo della pena e risultando corretta la qualificazione giuridica dei fatti. Si ritiene, inoltre, che, all'esito di una valutazione sommaria, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 comma 2 bis D. Lgs. 74/2000 non sia priva di serieta' o di ponderazione ne' sollevata a fini meramente dilatori, sussistendo, a prima vista, un dubbio plausibile di costituzionalita' della norma indicata, nel senso qui di seguito precisato. L'art. 13 comma 2-bis del d.lgs. n.74/2000 impedisce di poter definire il processo attraverso lo strumento del patteggiamento per gli imputati di reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000 che non abbiano provveduto all'estinzione del debito fiscale nei modi preveduti dallo stesso art. 13. La citata norma, di cui viene eccepita la illegittimita' costituzionale, introdotta dall'art. 2, comma 36 vicies semel, lett. m) del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011 n. 148 («per i delitti di cui al presente decreto l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale puo' essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2», id est l'estinzione mediante pagamento dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi) si pone verosimilmente in contrasto con i principii costituzionali di cui agli artt. 3, 10, 24, 77, 101, 104, 111, 112 e 113 Cost. sulla base delle seguenti considerazioni. L'art. 13 comma 2 bis D. lgs. n. 74/2000 ha introdotto - per la prima volta nel nostro ordinamento - una condizione processuale e di ammissibilta' della richiesta di patteggiamento. Se non si vuole attribuire alla legge altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (art. 12 Preleggi), la richiesta di patteggiamento non e' neppure valutabile nel merito se non dopo che il richiedente abbia estinto, mediante pagamento, i debiti tributari, ivi incluse le sanzioni amministrative; se non vi e' stato un simile comportamento, l'istanza de qua non puo' essere avanzata. Pertanto, il pagamento dei debiti tributari si pone come presupposto procedurale del negozio sulla sanzione, che evidentemente si aggiunge ai limiti di pena previsti dall'art. 444 c.p.p. Sino all'introduzione dell'art. 13 comma 2bis D. lgs. n. 74/2000 non si era mai avuto il caso che l'ammissibilita', prevista in astratto, fosse ulteriormente subordinata al verificarsi di eventi o elementi non procedurali da vagliarsi nel singolo caso e dichiaratamente strumentali a permettere la legittima presentazione di un'istanza ex art. 444 c.p.p. Sino all'introduzione dell'art. 13 comma 2 bis D. lgs. n. 74/2000, il vaglio di ammissibilita' e il vaglio di accoglibilita' dell'istanza di patteggiamento erano un unicum, nel senso che la presentazione della richiesta di patteggiamento era comunque sempre ammissibile e il vaglio della stessa da parte del Giudice poteva sempre spingersi sino al suo rigetto nel merito. L'art. 13 comma 2 bis D. lgs. n. 74/2000 introduce invece un meccanismo che, ponendo un limite alla presentazione dell'istanza, solleva il Giudice dal suo dovere di conoscere e valutare il contenuto dell'istanza. Nel caso che ci occupa, quindi, la valutazione della richiesta di patteggiamento ha una struttura bifasica, essendo il Giudice chiamato a vagliare dapprima l'ammissibilita' della presentazione dell'istanza e, successivamente, il contenuto dell'istanza ed eventualmente la sua accoglibilita' nel merito. La condizione processuale alla "presentabilita'" della richiesta di patteggiamento, come detto, consiste nell'avvenuta estinzione del debito tributario, comprensivo degli accessori. L'effetto estintivo in parola puo' avvenire, sia ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti sia ai fini dell'ammissibilita' della richiesta di patteggiamento, con il pagamento integrale di tutte le voci creditorie indicate dalla P.A. oppure mediante le speciali procedure di conciliazione o di adesione all'accertamento. A tal proposito, la circolare del Ministero delle Finanze n. 154/2000 ha chiarito che, fermo restando il riferimento ai fatti costitutivi dei delitti, per debito tributario si deve intendere la somma dovuta secondo la disciplina tributaria a titolo di imposte e relativi interessi, nonche' di sanzioni amministrative, come espressamente previsto dall'art. 13 comma 2, anche in deroga al principio di specialita' sancito dall'art. 19 D. Lgs. 74/2000, In virtu' della formula normativa "aperta", devono ritenersi applicabili tutte le tipologie di definizione dei rapporti tributari, quali l'accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale, l'acquiescenza da parte del contribuente e il ravvedimento. L'adesione ai processi verbali di constatazione, deve ritenersi anch'essa idonea a integrare gli estremi della circostanza attenuante, stante il generale riferimento alle "procedure conciliative" previste dall'ordinamento tributario. Cio' appare confermato dalla circolare ministeriale n. 154/2000, secondo cui l'attenuante concerne tutte le tipologie di definizione di rapporti tributari, comprese quelle di futura introduzione. La preclusione prevista dal disposto dell'art. 13 comma 2 bis D. Lgs. n. 74/2000 implica quindi che l'istanza di patteggiamento, costituente chiara manifestazione del diritto di difesa, debba essere condizionata ad un comportamento che potrebbe essere finanche pregiudizievole per lo stesso imputato purche' proteso a definire al piu' presto ogni pendenza con l'amministrazione finanziaria, con conseguente necessaria vanificazione di ogni diritto di azione contro le imposizioni illegittime (art. 24, comma 1, Cost.; art. 113 Cost.). In termini esemplificativi, in presenza di errori da parte della P.A. nel computo dell'imposta evasa o degli interessi o delle sanzioni, l'imputato che non riesce a trovare un accordo con l'Amministrazione ha due strade: adire il giudice tributario facendo valere il proprio diritto, sapendo, pero', che, anche in caso di vittoria sul fronte tributario, comunque vedrebbe sfumata la possibilita' di accesso al patteggiamento nel procedimento penale che nel frattempo segue il suo autonomo corso (l'estinzione del debito verso l'Erario deve avvenire, com'e' noto, "prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado": art. 13 comma 1 D. lgs. n. 74/2000), oppure pagare senza contestare quanto richiesto dalla P.A. per beneficiare del rito premiale. Nell'un caso e nell'altro non puo' negarsi una frustrazione del diritto di difesa del contribuente-imputato. D'altronde, ipotizzare uno stallo del procedimento penale in relazione alla definizione della vicenda amministrativa implicherebbe una palese violazione del principio di ragionevole durata del processo sancito dall'art. 111, comma 2, della Costltuzione e, di fatto, renderebbe il processo tributario pregiudiziale rispetto a quello penale: risultato, questo, radicalmente contrario al principio dell'autonomia dei due tipi di processo (sancito espressamente dall'art. 20 del D. Lgs. 74/2000), tanto piu' se si pone mente al fatto che il credito fiscale astrattamente vantato dall'amministrazione finanziaria ben puo' essere diverso da quello emergente in sede penale nel corso delle indagini. Oltretutto la circostanza attenuante cui e' subordinata la facolta' di richiedere il patteggiamento deve verificarsi, per sussistere, "prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado" (comma 1 art. 13 D. lgs. n. 74/2000), sicche' il pagamento successivo a tale momento, anche se completo, non varrebbe ad integrare la fattispecie di cui si tratta. Insomma, eventuali vicende positive in capo all'accusato emerse in ambito tributario non valgono in suo favore; cio' puo' ritenersi conforme al principio della separazione del processo tributario da quello penale, ma non anche alla finalita' perseguita, poiche' se il debito viene meno perche' illegittimamente imposto, questo accertamento non puo' che verificarsi ex post, e nel processo penale non puo' darsi per scontato un accertamento in sede amministrativa che non ha alcun carattere di stabilita'. Ne' la questione di legittimita' costituzionale appare superabile sulla base del rilievo che l'immediato pagamento dell'intero debito tributario (sanzioni incluse) non pregiudichi la successiva tutela giurisdizionale contro le imposizioni illegittime: l'immediata esecutorieta' dell'atto impositivo, se puo' essere accettabile in ambito fiscale, risponde ad una logica assolutamente incompatibile con le garanzie del processo penale e del giusto processo. La preclusione al patteggiamento, cosi com'e' congegnata, e' un effetto giuridico (negativo) connesso direttamente alla presunta violazione della normativa tributaria, Ma - se cosi e' - allora si da' per assodato, quanto meno ai fini procedurali, quel che nel processo penale ancora deve essere provato e che neppure sul fronte tributario e' stato definitivamente accertato e cioe' la commissione da parte dell'imputato dei fatti costitutivi di reato. L'imputato, infatti, viene cosi a sapere che, violando le norme tributarie, vedra' anche restringersi il suo diritto di difesa (sub specie della possibilita' di richiedere il patteggiamento, con tutti i benefici che ne conseguono, ivi compresa l'estinguibilita' del reato ai sensi dell'art. 445, comma 2, c.p.p.), diritto che potra' ripristinarsi solo se egli si adeguera' in tempi rapidi alle richieste dell'amministrazione finanziaria: il tutto prima che venga dichiarata la sua responsabilita' penale e, nella quasi totalita' dei casi, anche prima che la richiesta dell'Amministrazione finanziaria sia stata valutata dal Giudice Tributario con una pronuncia definitiva. Ma cio' pare contrario al principio di inviolabilita' del diritto di difesa sancito dall'art. 24, comma 2, della Costituzione e ai principii del giusto processo (art. 111, comma 1, Cost.), posto che il diritto di difesa sorge nel caso in cui vi sia un addebito e non puo' essere menomato o ridotto in ragione della semplice pendenza di un procedimento amministrativo che muove dalla notizia di reato e i cui esiti non sono affatto definitivi. Il meccanismo di limitazione alla facolta' di presentare la richiesta di patteggiamento introdotto dall'art. 13 comma 2 bis D. lgs. n. 74/2000 si pone quindi come una forma surrettizia di astreinte volta a indurre il contribuente-imputato al pagamento, "a prima richiesta" di debiti fiscali non definitivamente accertati. In altri termini, l'ordinamento induce l'imputato a rinunciare alla tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. In questo senso emerge anche il vulnus all'art. 113 Cost. Sotto altro profilo, il diritto di difesa appare leso, in quanto la norma di cui trattasi condiziona (limitandole) le scelte processuali delle parti a comportamenti e a volonta' di' soggetti estranei al processo, verso i quali il giudice penale nulla puo' fare. A rigore, infatti, l'Amministrazione persona offesa che non si sia costituita parte civile non e' parte del processo (e, nel caso di specie, l'Amministrazione, pur regolarmente citata, non e' comparsa ne' personalmente ne' a mezzo di un Difensore). Poiche' la definizione dei debiti verso la P.A. puo' avvenire anche "a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie", e' chiaro che si condiziona l'istanza di patteggiamento al verificarsi di tale evenienza. Ma, se cosi' e', e' evidente che si fa dipendere l'attivita' dell'accusa e della difesa nel processo penale alla volonta' discrezionale dell'organo amministrativo, che, pur restando al di fuori del processo penale, puo' influenzarne in maniera determinante il procedere. Se, sul fronte dell'imputato, per le ragioni appena dette, la logica del solve et repete trasposta in ambito penale appare lesiva dei principii costituzionali richiamati, sul fronte della Pubblica Accusa va rilevato che l'istanza di patteggiamento e' uno dei modi attraverso cui si esercita l'azione penale (art. 405 comma 1 c.p.p.), sicche' la disciplina dell'art. 13 comma 2bis D. lgs. n. 74/2000 subordina (specie se e' pendente una procedura conciliativa o di adesione) alla definizione dei tempi di svolgimento dell'attivita' dell'amministrazione finanziaria un possibile modo di esercizio dell'azione penale, in questo senso limitando gli strumenti a disposizione della Pubblica Accusa per l'attuazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale, che e' il piu' importante potere costituzionale demandato al Pubblico Ministero dall'art. 112 della Costituzione. La normativa in discussione preclude allo stesso Giudicante penale l'esercizio della giurisdizione a seguito di una richiesta di patteggiamento e cio' in funzione dell'esito di un procedimento amministrativo: il che si pone in contrasto con i principii di cui all'art. 101, comma 2, della Costituzione e all'art. 104, comma 1, della Costituzione, perche' il Giudice sarebbe soggetto non solo alla legge, ma anche al procedimento amministrativo e, specularmente, l'Amministrazione condizionerebbe l'esercizio delle funzioni della Magistratura non solo giudicante ma anche, come si e' visto, requirente. E' innegabile, infatti, che l'art. 13 comma 2 bis D. lgs. n. 74/2000 faccia dipendere significativamente la configurazione (e la deflazione) del processo penale dagli esiti, anche non definitivi, delle vicende amministrative o giudiziarie del debito tributario. Inoltre, la norma dell'art. 13 comma 2bis D. lgs. n. 74/2000, prevedendo come requisito necessario per poter accedere al rito speciale di cui all'art. 444 c.p.p. l'integrale estinzione dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti previsti dal d.lgs. n. 74/2000, pone una ingiustificata disparita' di trattamento tra imputati del medesimo reato perche' limita il diritto di difesa dell'imputato non abbiente, il quale si potrebbe trovare precluso l'accesso al rito speciale esclusivamente per motivi legati alla propria condizione economica (arti. 3 e 24 Cost.). Peraltro, appare irragionevole che solo l'imprenditore imputato, potendo procedere alla definizione dei debiti tributari della propria attivita' d'impresa, possa porre le premesse per accedere al patteggiamento, a differenza dei soggetti coimputati estranei alla titolarita' dell'impresa, ai quali e' precluso il diritto di attivare le procedure di estinzione dei debiti tributari. Puo' poi prospettarsi una violazione dell'art. 10 Cost. in relazione a due fondamentali principii sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo: il diritto ad un equo processo (art. 6 § 1 della CEDU) ed il diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto (art. 4 del Protocollo n.7). Sulla base dell'interpretazione "sostanzialistica" offerta dalla CEDU del concetto di "stesso fatto" (da ultimo, ad esempio, vedasi decisione CEDU 27-11-2014 n. 7356/10 Lucky Dev, CASE OF LUCKY DEV v. SWEDEN; inoltre, CEDU 4-3-2014, GRANDE STEVENS E ALTRI CONTRO ITALIA), l'art. 13, comma 2 bis, D. Lgs. 74/2000 potrebbe comportare, per lo "stesso fatto", l'applicazione di sanzioni amministrative e di sanzioni penali. Infine, la norma di cui trattasi e' stata introdotta dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148, che ha inserito l'art. 2, comma c. 36-vicies semel, lettera m) nell'originario testo del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 dal titolo "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo". Il citato decreto legge era stato emanato "per la stabilizzazione finanziaria e per il contenimento della spesa pubblica al fine di garantire la stabilita' del Paese con riferimento all'eccezionale situazione di crisi internazionale e di instabilita' dei mercati e per rispettare gli impegni assunti in sede di Unione Europea, nonche' di adottare misure dirette a favorire lo sviluppo e la competitivita' del Paese e il sostegno dell'occupazione" (cosi il preambolo). La legge di conversione appare verosimilmente viziata da difetto di omogeneita', e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione (sent. Corte Cost. 32/2014: la legge di conversione deve avere un contenuto omogeneo a quello del decreto-legge. Cio' in ossequio, prima ancora che a regole di' buona tecnica normativa, allo stesso art. 77, secondo comma, Cost., il quale presuppone "un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario"). Ed invero, la limitazione della facolta' processuale di cui trattasi non puo' perseguire fini di "stabilizzazione finanziaria", non foss'altro perche', come piu' volte ricordato, l'indicazione del credito della P.A., al cui pagamento si subordina la deflazione del processo penale, non integra alcun accertamento definitivo e l'eventuale pagamento, da parte dell'imputato, del debito fiscale al fine di accedere al patteggiamento non implica la definitiva acquisizione al Fisco delle somme versate. In definitiva, il Legislatore, pur consentendo in linea astratta, per i reati di cui trattasi, il patteggiamento, pone un ostacolo alla soluzione deflattiva del processo penale senza che a tale sacrificio corrisponda alcun altro effettivo vantaggio per la collettivita' o perche' la preliminare estinzione del debito tributario puo' essere rimessa in discussione dopo la sentenza di patteggiamento o perche' la mancata estinzione del debito tributario dipende dall'incapienza patrimoniale e reddituale del soggetto.