TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO 
 
 
                       SEZIONE G.I.P. - G.U.P. 
 
 
          Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale 
 
 
             di questione di legittimita' costituzionale 
 
    Il  Giudice  dell'Udienza  Preliminare  presso  il  Tribunale  di
Torino, dott.ssa Eleonora Montserrat Pappalettere, 
    visti gli atti del procedimento indicato in epigrafe a  carico  -
tra gli altri - di: 
        S.F. 
        V.P. 
        A.D. 
        C.A. 
    Omessi i nomi degli imputati per i reati p. e p. dagli artt.  416
c.p., 81 cpv, 110 c.p.; artt. 2, 8,  5,  10  bis  e  10  ter  decreto
legislativo 10 marzo 2000 n. 74. 
    Rilevato che in sede di udienza preliminare, all'udienza  odierna
del 15 dicembre 2014, alcuni imputati, personalmente o  a  mezzo  del
procuratore speciale, chiedevano, ex art. 444 c.p.p.,  l'applicazione
della pena. 
    Atteso che appare opportuno riportare qui  di  seguito  le  parti
dell'odierno verbale d'udienza che interessano: 
    "... A questo punto l'avv.to Pantosti  per  V.  deposita  procura
speciale, e  comunque  il  signor  V  personalmente  presente  chiede
patteggiare una pena nei seguenti termini:  individuato  quale  reato
piu' grave quello di cui al capo  a)  della  richiesta  di  rinvio  a
giudizio, p.b. anni 2 e mesi 1  di  reclusione  gia'  considerata  la
continuazione interna al capo, ridotta ex art. 62 bis c.p. ad anni  1
e mesi 6 e gg. 15 di reclusione, aumentata per capo 1 di  gg.  20  di
reclusione, per capo b di gg. 20 di reclusione, per capo  c)  di  gg.
25, per capo e) di gg. 20 di reclusione, per capo i)  di  gg.  20  di
reclusione, per capo o) di gg. 15 di reclusione, per capo s)  di  gg.
20 di reclusione, per capo x) di gg. 20 di reclusione, per capo y) di
gg. 20 di reclusione, per un totale pari a mesi 6 di reclusione,  per
un totale pena di anni 2 e gg. 15 di reclusione, ridotta ex art.  444
c.p.p. ad anni 1 e mesi 7 di reclusione. La difesa  che  fa  presente
che  la  concessione  delle  attenuanti   generiche   dipende   dalla
disponibilita'   dell'imputato   all'immediato   versamento   di   un
risarcimento quantificato in 25.000 euro, di cui c'e' disponibilita',
a favore dell'Agenzia delle Entrate. 
    Il  P.M.,  pur  rilevando  l'oggettiva  congruita'   della   pena
determinata come sopra, dichiara  di  non  potere  esprimere  ne'  il
consenso ne' il diniego, essendo inammissibile la presentazione della
suddetta richiesta di patteggiamento ai sensi dell'art. 13,  comma  2
bis, D. Lgs. 74/2000. 
    A questo punto la difesa V.  solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 13 comma 2 bis del Dlg.  nr.  74/2000  nella
parte  in  cui  subordina  la  presentazione   della   richiesta   di
patteggiamento alla integrale estinzione del  debito  tributario,  in
relazione agli artt.  3  e  104  Cost.  Deposita,  all'uopo,  memoria
illustrativa che ulteriormente espone oralmente. 
    Il P.M. si associa all'eccezione di illegitimita' costituzionale. 
    ... 
    L'avv.to Nizza Davide per S. F.  deposita  procura  speciale  per
accedere a riti alternativi. 
    Chiede patteggiare nei seguenti  termini:  individuato  il  reato
piu' grave nel capo 1, riconosciuta l'attenuante di cui  all'art.  62
bis  c.p.  prevalente  sulle   contestate   aggravanti   e   recidiva
manifestando l'intendimento di versare la somma  di'  euro  25.000  a
titolo risarcitorio a favore della Agenzia delle Entrate, 
    p.b. anni 1 di reclusione ridotta ex art. 62 bis c. p. a  mesi  8
di reclusione, aumentata per capo a,b,c,e, i,o,s,y) di mesi 2  e  gg.
10 di reclusione, per ciascun  capo  gia'  considerata  la  eventuale
continuazione interna ai singoli capi, per capo g ed m, pari a mesi 1
di reclusione per ciascun capo, per capi f, h, l, p, q, r, t,  u,  v,
w, di gg. 20 di reclusione, per ciascun capo, per un totale  di  pena
in continuazione di anni 2 e mesi 4  di  reclusione,  determinata  la
pena complessiva in anni 3 di reclusione, ridotta ex art. 444  c.p.p.
ad anni 2 di reclusione. 
    Il P.M richiama le medesime considerazioni svolte per V. 
    L'avv.to Nizza si associa quindi alla eccezione di illegittimita'
costituzionale dell'art. 13 comma 2 bis del Dlvo 74/2000 in relazione
agli artt. 3 e 104 Cost. 
    Il P.M. si associa. 
    ... 
    Per A. l'avv.to Nizza deposita procura speciale, evidenziando  di
essere legittimato a presentare anche istanza di  patteggiamento,  ma
di non presentare alcuna istanza ex art. 444 c.p.p. non essendo detta
presentazione consentita dalla legge e sollevando cosi' questione  di
legittimita' costituzionale nei termini  gia'  espressi  dalle  altre
Difese. In subordine formula istanza di patteggiamento  negli  stessi
termini indicati dalla Difesa S.  e  solleva  comunque  questione  di
legittimita' costituzionale come precedentemente illustrato. 
    Il P.M. richiama le osservazioni e le richieste svolte per  S.  e
per V. 
    ... 
    Per C.  l'avv.to  Ugolini  deposita  procura  speciale  e  chiede
patteggiare come segue: ritenuto piu' grave il  reato  capo  s)  pena
base,  gia'  riconosciuta  la  continuazione  interna,  anni   2   di
reclusione, ridotta ex art. 62 bis  c.p.  ad  anni  1  e  mesi  4  di
reclusione, aumentata ex art. 81 cpv con i reati v e w) di mesi 1  di
reclusione ciascuno, per una pena complessiva di anni  1  e  mesi  6,
ridotta per il rito ad anni 1 di  reclusione,  subordinatamente  alla
concessione della sospensione  condizionale  della  esecuzione  della
pena. 
    Il P.M. richiama le osservazioni e le richieste svolte per S.  V.
e A. 
    La difesa di C. allora  si  associa  alle  questioni  svolte  dai
colleghi, ritenendo anche violato l'art. 77 comma 2^ Cost. 
    Il P.M. si associa". 
    Atteso, quindi, che il  P.M.,  pur  rilevata  incidentalmente  la
congruita' delle pene proposte, non  esprimeva  il  consenso,  stante
l'inammissibilita' delle istanze ai sensi dell'art. 13  comma  2  bis
d.l.vo n. 74/2000, non essendo stati estinti i  debiti  tributari  di
cui alle riportate contestazioni. 
    Atteso, dunque, che le richieste di applicazione pena ex art. 444
c.p.p. sono, nella specie, precluse, ostandovi l'art. 13 comma  2-bis
del d.lgs. n. 74/2000 (introdotto con il d.l. 13 agosto 2011 n.  138,
convertito con modificazioni nella legge 14 settembre 2011  n.  148),
che condiziona l'accesso all'istituto dell'applicazione della pena di
cui  all'art.  444  c.p.p.  alla  preventiva  estinzione  dei  debiti
tributari. 
    Atteso, pertanto, che  i  Difensori  eccepivano  l'illegittimita'
costituzionale del citato art. 13 comma 2 bis in relazione agli artt.
3, 104 e 77 Cost. 
 
                               Osserva 
 
    La questione proposta  ha  rilevanza  concreta  nel  processo  in
esame, in quanto questo Giudice e' chiamato a dare applicazione  alla
norma sopra citata per decidere in  ordine  all'ammissibilita'  delle
formulate richieste ex art. 444 c.p.p., le quali,  nel  merito,  come
gia' rilevato dal Pubblico Ministero, non appaiono, ictu  oculi,  ne'
manifestamente incongrue ne' manifestamente errate quanto al  calcolo
della pena e risultando  corretta  la  qualificazione  giuridica  dei
fatti. 
    Si ritiene, inoltre, che, all'esito di una valutazione  sommaria,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 comma 2  bis
D. Lgs. 74/2000 non sia priva  di  serieta'  o  di  ponderazione  ne'
sollevata a fini meramente dilatori, sussistendo, a prima  vista,  un
dubbio plausibile di  costituzionalita'  della  norma  indicata,  nel
senso qui di seguito precisato. 
    L'art. 13 comma 2-bis del d.lgs.  n.74/2000  impedisce  di  poter
definire il processo attraverso lo strumento del  patteggiamento  per
gli imputati di reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000  che  non
abbiano  provveduto  all'estinzione  del  debito  fiscale  nei   modi
preveduti dallo stesso art. 13. 
    La  citata  norma,  di  cui  viene  eccepita  la   illegittimita'
costituzionale, introdotta dall'art. 2, comma 36 vicies semel,  lett.
m) del d.l. 13 agosto 2011, n. 138,  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 14 settembre 2011 n.  148  («per  i  delitti  di  cui  al
presente decreto l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del
codice di procedura penale  puo'  essere  chiesta  dalle  parti  solo
qualora ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2»,  id
est l'estinzione mediante pagamento dei debiti tributari relativi  ai
fatti costitutivi dei delitti medesimi)  si  pone  verosimilmente  in
contrasto con i principii costituzionali di cui agli artt. 3, 10, 24,
77, 101, 104,  111,  112  e  113  Cost.  sulla  base  delle  seguenti
considerazioni. 
    L'art. 13 comma 2 bis D. lgs. n. 74/2000 ha introdotto -  per  la
prima volta nel nostro ordinamento - una condizione processuale e  di
ammissibilta' della richiesta di patteggiamento. 
    Se non si vuole attribuire alla  legge  altro  senso  che  quello
fatto  palese  dal  significato  proprio  delle  parole  secondo   la
connessione  di  esse   (art.   12   Preleggi),   la   richiesta   di
patteggiamento non e' neppure valutabile nel merito se non  dopo  che
il richiedente abbia estinto, mediante pagamento, i debiti tributari,
ivi incluse le sanzioni amministrative; se non vi e' stato un  simile
comportamento, l'istanza de qua non puo' essere  avanzata.  Pertanto,
il  pagamento  dei  debiti  tributari  si   pone   come   presupposto
procedurale del negozio sulla sanzione, che evidentemente si aggiunge
ai limiti di pena previsti dall'art. 444 c.p.p. 
    Sino all'introduzione dell'art. 13 comma 2bis D. lgs. n.  74/2000
non si era mai  avuto  il  caso  che  l'ammissibilita',  prevista  in
astratto, fosse ulteriormente subordinata al verificarsi di eventi  o
elementi  non  procedurali  da   vagliarsi   nel   singolo   caso   e
dichiaratamente strumentali a permettere la  legittima  presentazione
di un'istanza ex art. 444 c.p.p. Sino all'introduzione  dell'art.  13
comma 2 bis D. lgs. n. 74/2000, il  vaglio  di  ammissibilita'  e  il
vaglio di accoglibilita'  dell'istanza  di  patteggiamento  erano  un
unicum,  nel  senso  che  la   presentazione   della   richiesta   di
patteggiamento era comunque sempre  ammissibile  e  il  vaglio  della
stessa da parte del Giudice  poteva  sempre  spingersi  sino  al  suo
rigetto nel merito.  L'art.  13  comma  2  bis  D.  lgs.  n.  74/2000
introduce  invece  un  meccanismo  che,  ponendo   un   limite   alla
presentazione dell'istanza, solleva il  Giudice  dal  suo  dovere  di
conoscere e valutare il  contenuto  dell'istanza.  Nel  caso  che  ci
occupa, quindi, la valutazione della richiesta di  patteggiamento  ha
una struttura  bifasica,  essendo  il  Giudice  chiamato  a  vagliare
dapprima  l'ammissibilita'  della   presentazione   dell'istanza   e,
successivamente, il contenuto dell'istanza ed  eventualmente  la  sua
accoglibilita' nel merito. 
    La condizione processuale alla "presentabilita'" della  richiesta
di patteggiamento, come detto, consiste nell'avvenuta estinzione  del
debito tributario, comprensivo degli accessori.  L'effetto  estintivo
in parola  puo'  avvenire,  sia  ai  fini  del  riconoscimento  delle
circostanze  attenuanti  sia  ai   fini   dell'ammissibilita'   della
richiesta di patteggiamento, con il pagamento integrale di  tutte  le
voci creditorie indicate  dalla  P.A.  oppure  mediante  le  speciali
procedure di conciliazione o  di  adesione  all'accertamento.  A  tal
proposito, la circolare del Ministero delle Finanze  n.  154/2000  ha
chiarito che, fermo restando il riferimento ai fatti costitutivi  dei
delitti, per debito tributario si  deve  intendere  la  somma  dovuta
secondo la disciplina tributaria  a  titolo  di  imposte  e  relativi
interessi, nonche' di  sanzioni  amministrative,  come  espressamente
previsto dall'art. 13 comma  2,  anche  in  deroga  al  principio  di
specialita' sancito dall'art. 19 D. Lgs.  74/2000,  In  virtu'  della
formula normativa "aperta", devono  ritenersi  applicabili  tutte  le
tipologie di definizione dei rapporti tributari, quali l'accertamento
con adesione, la conciliazione giudiziale,  l'acquiescenza  da  parte
del contribuente e il ravvedimento. L'adesione ai processi verbali di
constatazione,  deve  ritenersi  anch'essa  idonea  a  integrare  gli
estremi della circostanza attenuante, stante il generale  riferimento
alle "procedure conciliative" previste  dall'ordinamento  tributario.
Cio' appare confermato  dalla  circolare  ministeriale  n.  154/2000,
secondo cui l'attenuante concerne tutte le tipologie  di  definizione
di rapporti tributari, comprese quelle di futura introduzione. 
    La preclusione prevista dal disposto dell'art. 13 comma 2 bis  D.
Lgs. n. 74/2000  implica  quindi  che  l'istanza  di  patteggiamento,
costituente chiara manifestazione del diritto di difesa, debba essere
condizionata  ad  un  comportamento  che  potrebbe  essere   finanche
pregiudizievole per lo stesso imputato purche' proteso a definire  al
piu' presto ogni  pendenza  con  l'amministrazione  finanziaria,  con
conseguente necessaria vanificazione di ogni diritto di azione contro
le imposizioni illegittime (art. 24, comma 1, Cost.; art. 113 Cost.).
In termini esemplificativi, in presenza di errori da parte della P.A.
nel computo dell'imposta evasa o degli interessi  o  delle  sanzioni,
l'imputato che non riesce a trovare un accordo con  l'Amministrazione
ha due strade: adire il giudice tributario facendo valere il  proprio
diritto, sapendo, pero', che, anche in caso di  vittoria  sul  fronte
tributario, comunque vedrebbe sfumata la possibilita' di  accesso  al
patteggiamento nel procedimento penale che nel frattempo segue il suo
autonomo corso (l'estinzione del debito verso l'Erario deve avvenire,
com'e' noto, "prima della dichiarazione di apertura del  dibattimento
di primo grado": art. 13 comma 1 D. lgs. n. 74/2000),  oppure  pagare
senza contestare quanto richiesto dalla P.A. per beneficiare del rito
premiale. Nell'un caso e nell'altro non puo' negarsi una frustrazione
del  diritto  di  difesa   del   contribuente-imputato.   D'altronde,
ipotizzare uno stallo  del  procedimento  penale  in  relazione  alla
definizione della vicenda  amministrativa  implicherebbe  una  palese
violazione del principio di ragionevole durata del  processo  sancito
dall'art. 111, comma 2, della Costltuzione e, di fatto, renderebbe il
processo  tributario  pregiudiziale   rispetto   a   quello   penale:
risultato, questo, radicalmente contrario al principio dell'autonomia
dei due tipi di processo (sancito espressamente dall'art. 20  del  D.
Lgs. 74/2000), tanto piu' se si pone mente al fatto  che  il  credito
fiscale astrattamente vantato  dall'amministrazione  finanziaria  ben
puo' essere diverso da quello emergente  in  sede  penale  nel  corso
delle  indagini.  Oltretutto  la  circostanza   attenuante   cui   e'
subordinata  la  facolta'  di  richiedere  il   patteggiamento   deve
verificarsi, per sussistere, "prima della dichiarazione  di  apertura
del dibattimento di  primo  grado"  (comma  1  art.  13  D.  lgs.  n.
74/2000), sicche' il pagamento successivo a tale  momento,  anche  se
completo, non varrebbe ad integrare la fattispecie di cui si  tratta.
Insomma, eventuali vicende positive in capo  all'accusato  emerse  in
ambito tributario non valgono in  suo  favore;  cio'  puo'  ritenersi
conforme al principio della separazione del  processo  tributario  da
quello penale, ma non anche alla finalita' perseguita, poiche' se  il
debito  viene   meno   perche'   illegittimamente   imposto,   questo
accertamento non puo' che verificarsi ex post, e nel processo  penale
non puo' darsi per scontato un accertamento  in  sede  amministrativa
che non ha alcun carattere di stabilita'. 
    Ne' la questione di legittimita' costituzionale appare superabile
sulla base del rilievo che l'immediato pagamento  dell'intero  debito
tributario (sanzioni incluse) non pregiudichi  la  successiva  tutela
giurisdizionale  contro  le  imposizioni   illegittime:   l'immediata
esecutorieta' dell'atto impositivo, se  puo'  essere  accettabile  in
ambito fiscale, risponde ad una  logica  assolutamente  incompatibile
con le garanzie  del  processo  penale  e  del  giusto  processo.  La
preclusione al patteggiamento, cosi com'e' congegnata, e' un  effetto
giuridico (negativo) connesso direttamente alla  presunta  violazione
della normativa tributaria, Ma - se cosi  e'  -  allora  si  da'  per
assodato, quanto meno ai fini  procedurali,  quel  che  nel  processo
penale ancora deve essere provato e che neppure sul fronte tributario
e' stato definitivamente accertato e cioe' la  commissione  da  parte
dell'imputato dei fatti costitutivi di  reato.  L'imputato,  infatti,
viene cosi a sapere che, violando le norme tributarie,  vedra'  anche
restringersi il suo diritto di difesa (sub specie della  possibilita'
di  richiedere  il  patteggiamento,  con  tutti  i  benefici  che  ne
conseguono,  ivi  compresa  l'estinguibilita'  del  reato  ai   sensi
dell'art. 445, comma 2, c.p.p.),  diritto  che  potra'  ripristinarsi
solo  se  egli  si  adeguera'  in   tempi   rapidi   alle   richieste
dell'amministrazione finanziaria: il tutto prima che venga dichiarata
la sua responsabilita' penale e,  nella  quasi  totalita'  dei  casi,
anche prima che la  richiesta  dell'Amministrazione  finanziaria  sia
stata valutata dal Giudice Tributario con una  pronuncia  definitiva.
Ma cio' pare contrario al principio di inviolabilita' del diritto  di
difesa sancito  dall'art.  24,  comma  2,  della  Costituzione  e  ai
principii del giusto processo (art. 111, comma 1, Cost.),  posto  che
il diritto di difesa sorge nel caso in cui vi sia un addebito  e  non
puo' essere menomato o ridotto in ragione della semplice pendenza  di
un procedimento amministrativo che muove dalla notizia di reato  e  i
cui esiti non sono affatto definitivi. 
    Il meccanismo di  limitazione  alla  facolta'  di  presentare  la
richiesta di patteggiamento introdotto dall'art. 13 comma  2  bis  D.
lgs. n.  74/2000  si  pone  quindi  come  una  forma  surrettizia  di
astreinte volta a indurre il contribuente-imputato al  pagamento,  "a
prima richiesta" di debiti fiscali non definitivamente accertati.  In
altri termini, l'ordinamento  induce  l'imputato  a  rinunciare  alla
tutela giurisdizionale contro gli atti della  P.A.  In  questo  senso
emerge anche il vulnus all'art. 113 Cost. 
    Sotto altro profilo, il diritto di difesa appare leso, in  quanto
la  norma  di  cui  trattasi  condiziona  (limitandole)   le   scelte
processuali delle parti a comportamenti e  a  volonta'  di'  soggetti
estranei al processo, verso i quali  il  giudice  penale  nulla  puo'
fare. A rigore, infatti, l'Amministrazione persona offesa che non  si
sia costituita parte civile non e' parte del processo (e, nel caso di
specie, l'Amministrazione, pur regolarmente citata, non  e'  comparsa
ne'  personalmente  ne'  a  mezzo  di  un  Difensore).   Poiche'   la
definizione dei debiti verso la P.A. puo' avvenire anche  "a  seguito
delle speciali procedure conciliative o di adesione  all'accertamento
previste  dalle  norme  tributarie",  e'  chiaro  che  si  condiziona
l'istanza di patteggiamento al verificarsi di tale evenienza. Ma,  se
cosi' e', e' evidente che si fa dipendere l'attivita'  dell'accusa  e
della  difesa  nel  processo  penale  alla   volonta'   discrezionale
dell'organo  amministrativo,  che,  pur  restando  al  di  fuori  del
processo  penale,  puo'  influenzarne  in  maniera  determinante   il
procedere. 
    Se, sul fronte dell'imputato, per le  ragioni  appena  dette,  la
logica del solve et repete trasposta in ambito penale  appare  lesiva
dei principii costituzionali richiamati, sul  fronte  della  Pubblica
Accusa va rilevato che l'istanza di patteggiamento e'  uno  dei  modi
attraverso cui si esercita l'azione penale (art. 405 comma 1 c.p.p.),
sicche' la disciplina dell'art. 13 comma  2bis  D.  lgs.  n.  74/2000
subordina (specie se e' pendente  una  procedura  conciliativa  o  di
adesione) alla definizione dei tempi  di  svolgimento  dell'attivita'
dell'amministrazione  finanziaria  un  possibile  modo  di  esercizio
dell'azione  penale,  in  questo  senso  limitando  gli  strumenti  a
disposizione della Pubblica Accusa per l'attuazione del principio  di
obbligatorieta' dell'azione penale, che e' il piu' importante  potere
costituzionale demandato al Pubblico Ministero  dall'art.  112  della
Costituzione. 
    La normativa  in  discussione  preclude  allo  stesso  Giudicante
penale l'esercizio della giurisdizione a seguito di una richiesta  di
patteggiamento e cio'  in  funzione  dell'esito  di  un  procedimento
amministrativo: il che si pone in contrasto con i  principii  di  cui
all'art. 101, comma 2, della Costituzione e all'art.  104,  comma  1,
della Costituzione, perche' il Giudice sarebbe soggetto non solo alla
legge, ma anche  al  procedimento  amministrativo  e,  specularmente,
l'Amministrazione condizionerebbe l'esercizio  delle  funzioni  della
Magistratura  non  solo  giudicante  ma  anche,  come  si  e'  visto,
requirente. E' innegabile, infatti, che l'art. 13 comma 2 bis D. lgs.
n. 74/2000 faccia dipendere significativamente la  configurazione  (e
la deflazione) del processo penale dagli esiti, anche non definitivi,
delle vicende amministrative o giudiziarie del debito tributario. 
    Inoltre, la norma dell'art. 13 comma 2bis  D.  lgs.  n.  74/2000,
prevedendo come requisito  necessario  per  poter  accedere  al  rito
speciale di cui all'art. 444 c.p.p. l'integrale estinzione dei debiti
tributari relativi ai fatti  costitutivi  dei  delitti  previsti  dal
d.lgs. n. 74/2000, pone una ingiustificata disparita' di  trattamento
tra imputati del medesimo reato perche' limita il diritto  di  difesa
dell'imputato non abbiente, il quale  si  potrebbe  trovare  precluso
l'accesso al rito speciale  esclusivamente  per  motivi  legati  alla
propria condizione economica (arti. 3 e 24 Cost.).  Peraltro,  appare
irragionevole che solo  l'imprenditore  imputato,  potendo  procedere
alla  definizione  dei  debiti  tributari  della  propria   attivita'
d'impresa, possa porre le premesse per accedere al patteggiamento,  a
differenza  dei  soggetti  coimputati   estranei   alla   titolarita'
dell'impresa,  ai  quali  e'  precluso  il  diritto  di  attivare  le
procedure di estinzione dei debiti tributari. 
    Puo' poi  prospettarsi  una  violazione  dell'art.  10  Cost.  in
relazione a due  fondamentali  principii  sanciti  dalla  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo: il diritto ad un equo processo (art. 6
§ 1 della CEDU) ed il diritto a non essere  giudicati  o  puniti  due
volte per lo stesso fatto (art. 4 del  Protocollo  n.7).  Sulla  base
dell'interpretazione  "sostanzialistica"  offerta  dalla   CEDU   del
concetto di "stesso fatto" (da ultimo, ad esempio,  vedasi  decisione
CEDU 27-11-2014 n. 7356/10 Lucky Dev, CASE OF LUCKY  DEV  v.  SWEDEN;
inoltre, CEDU 4-3-2014, GRANDE STEVENS E ALTRI CONTRO ITALIA), l'art.
13, comma 2 bis, D. Lgs. 74/2000 potrebbe comportare, per lo  "stesso
fatto", l'applicazione  di  sanzioni  amministrative  e  di  sanzioni
penali. 
    Infine, la norma di cui trattasi e' stata introdotta dalla  legge
di conversione 14 settembre 2011, n. 148, che ha inserito  l'art.  2,
comma c. 36-vicies semel, lettera m) nell'originario testo  del  D.L.
13 agosto 2011, n. 138 dal titolo "Ulteriori misure  urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria e per lo  sviluppo".  Il  citato  decreto
legge era stato emanato "per la stabilizzazione finanziaria e per  il
contenimento della spesa pubblica al fine di garantire la  stabilita'
del  Paese  con  riferimento  all'eccezionale  situazione  di   crisi
internazionale e di instabilita' dei mercati  e  per  rispettare  gli
impegni assunti in sede di Unione Europea, nonche' di adottare misure
dirette a favorire lo sviluppo e la competitivita'  del  Paese  e  il
sostegno  dell'occupazione"  (cosi  il  preambolo).   La   legge   di
conversione appare verosimilmente viziata da difetto di  omogeneita',
e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del decreto-legge e
quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione (sent.  Corte
Cost. 32/2014: la  legge  di  conversione  deve  avere  un  contenuto
omogeneo a quello del decreto-legge. Cio' in ossequio,  prima  ancora
che a regole di'  buona  tecnica  normativa,  allo  stesso  art.  77,
secondo comma, Cost., il quale presuppone "un nesso di interrelazione
funzionale tra decreto-legge, formato  dal  Governo  ed  emanato  dal
Presidente della Repubblica, e legge di  conversione,  caratterizzata
da un  procedimento  di  approvazione  peculiare  rispetto  a  quello
ordinario"). Ed invero, la limitazione della facolta' processuale  di
cui  trattasi  non   puo'   perseguire   fini   di   "stabilizzazione
finanziaria", non foss'altro  perche',  come  piu'  volte  ricordato,
l'indicazione del credito della P.A., al cui pagamento  si  subordina
la deflazione del processo penale,  non  integra  alcun  accertamento
definitivo e  l'eventuale  pagamento,  da  parte  dell'imputato,  del
debito fiscale al fine di accedere al patteggiamento non  implica  la
definitiva acquisizione al Fisco delle somme versate. In  definitiva,
il Legislatore, pur consentendo in linea astratta, per i reati di cui
trattasi,  il  patteggiamento,  pone  un  ostacolo   alla   soluzione
deflattiva  del  processo  penale  senza  che   a   tale   sacrificio
corrisponda alcun altro effettivo vantaggio per  la  collettivita'  o
perche' la preliminare estinzione del debito tributario  puo'  essere
rimessa in discussione dopo la sentenza di patteggiamento  o  perche'
la mancata estinzione del debito tributario  dipende  dall'incapienza
patrimoniale e reddituale del soggetto.